martedì 16 dicembre 2008
Una scarpata li seppellirà!
George W. Bush ,in visita a Baghdad per celebrare una sorta di personale "farewell to arms",durante una conferenza stampa viene fatto oggetto del lancio di due scarpe(numero 44) dal giornalista locale Muntazar al-Zaidy. Bush schiva i colpi,il giornalista viene arrestato.
Naturalmente il contributo del lanciatore di scarpe irakeno, nella sublime essenzialità di un così limpido gesto di ribellione, mi è sembrato molto più efficace ai fini della lotta di liberazione del suo popolo di quanto compiuto in questi anni da qualunque tagliagole sunnita o grasso ayatollah sciita.
giovedì 11 dicembre 2008
bertolt
"Molti pensano che noi ci diamo da fare
nelle faccende più peregrine,
ci affatichiamo in strane imprese
per saggiare le nostre forze o per darne la prova.
Ma in realtà è più nel vero chi ci pensa
intenti semplicemente all'inevitabile:
scegliere la strada più dritta possibile, vincere
gli ostacoli del giorno, evitare i pensieri
che hanno avuto esiti cattivi, e scoprire
quelli propizi, in breve:
aprire la strada alla goccia nel fiume che si apre
la strada in mezzo alla pietraia.
Bertolt Brecht
...giusto per ricordarsi che siamo questi piedi,prima della loro impronta,siamo queste mani,prima del loro disfare,siamo questi occhi,prima di tutto quello che non vedranno,siamo questa voce,nonostante le parole dimenticate...
nelle faccende più peregrine,
ci affatichiamo in strane imprese
per saggiare le nostre forze o per darne la prova.
Ma in realtà è più nel vero chi ci pensa
intenti semplicemente all'inevitabile:
scegliere la strada più dritta possibile, vincere
gli ostacoli del giorno, evitare i pensieri
che hanno avuto esiti cattivi, e scoprire
quelli propizi, in breve:
aprire la strada alla goccia nel fiume che si apre
la strada in mezzo alla pietraia.
Bertolt Brecht
...giusto per ricordarsi che siamo questi piedi,prima della loro impronta,siamo queste mani,prima del loro disfare,siamo questi occhi,prima di tutto quello che non vedranno,siamo questa voce,nonostante le parole dimenticate...
mercoledì 3 dicembre 2008
my favourite things in december...
Neve,freddo,pensieri ossessivi,l'inverno di fuori,l'inverno di dentro...una piccola colonna sonora...
Matt Elliott
Vic Chesnutt+Guy Picciotto
Thee Silver Mt. zion
Robert Wyatt
Matt Elliott
Vic Chesnutt+Guy Picciotto
Thee Silver Mt. zion
Robert Wyatt
martedì 25 novembre 2008
italiani brava gente
"The fascist legacy" è un documentario della BBC acquistato dalla RAI e mai trasmesso dal servizio pubblico.E' rintraccibile un estratto in italiano messo in onda da La 7. "The fascist legacy" parla dei crimini di guerra dell'Italia coloniale e fascista in Etiopia e nei Balcani, coprendo un arco temporale che va dalla metà degli anni trenta del novecento al crollo politico del fascismo, inteso come regime totalitario di massa,il 25 luglio del 1943. "The fascist legacy" ci parla di una grande rimozione collettiva nella storia recente del nostro paese.Ci parla di atroci crimini di guerra e di come dietro all'inflazionato mito degli "italiani brava gente" persista un serio (e funzionale) vuoto di memoria. L'occasione persa di una Norimberga italiana ha sicuramnete molteplici cause, compresa l'implicita legittimazione politica e storica del fascismo attraverso un lungo cammino,iniziato con l'amnistia togliattiana del 22 giugno 1946 e terminato con il discorso alla camera di Luciano Violante sui "bravi ragazzi di Salò",nella metà degli anni novanta.
Nella mancata defascistizzazione è sedimentato il reale peccato originario della repubblica.Nel frattempo la continua invocazione di una "memoria condivisa" è andata banalizzandosi nella stanca litania di oggi,mentre assistiamo alla sparizione della "memoria" per quello che realmente è,nella sua più semplice essenza...la possibilità e la volontà di poter ricordare.Ricordare ad esempio che il firmatario dell'armistizio con gli alleati,l'8 settembre 1943, è quello stesso maresciallo Pietro Badoglio responsabile dei massacri con l'iprite nella campagna d'Etiopia del 1935/36. Massacri compiuti in nome di Mussolini e del re, per la grandezza dell'impero.
Dovremmo anche chiederci con quali pesi e con quali misure venga celebrato il ricordo degli italiani morti ammazzati nelle foibe, mancando l'onestà intelletuale sufficiente per ricordare con altrettanta indignazione i crimini fascisti in Montenegro,i campi di concentramento italiani,l'italianizzazione forzata in Dalmazia e così via. Ma è noto che le vittime,tutte le vittime,non facciano più rumore dell'erba che cresce,come diceva il poeta.Il resto è solo vento che soffia e cenere che si disperde...
...Per approfondire consiglio la lettura di "Italiani,brava gente?" di Angelo del Boca e la visione del film "Il leone del deserto",pellicola di Mustapha Akkad del 1979, con uno strepitoso cast composto da Anthony Quinn,Oliver Reed,Rod Steiger...
il film racconta della feroce occupazione italiana della Libia e della strenua resistenza guidata da Omar Al Muktar (Anthony Quinn),catturato ed impiccato dalle truppe fasciste comandate da Graziani (Oliver Reed) nel 1931.
Questo film non è mai stato distribuito in Italia e dovette subire un processo per vilipendio alle forze armate...è comunque rintracciabile/scaricabile in rete...
Nella mancata defascistizzazione è sedimentato il reale peccato originario della repubblica.Nel frattempo la continua invocazione di una "memoria condivisa" è andata banalizzandosi nella stanca litania di oggi,mentre assistiamo alla sparizione della "memoria" per quello che realmente è,nella sua più semplice essenza...la possibilità e la volontà di poter ricordare.Ricordare ad esempio che il firmatario dell'armistizio con gli alleati,l'8 settembre 1943, è quello stesso maresciallo Pietro Badoglio responsabile dei massacri con l'iprite nella campagna d'Etiopia del 1935/36. Massacri compiuti in nome di Mussolini e del re, per la grandezza dell'impero.
Dovremmo anche chiederci con quali pesi e con quali misure venga celebrato il ricordo degli italiani morti ammazzati nelle foibe, mancando l'onestà intelletuale sufficiente per ricordare con altrettanta indignazione i crimini fascisti in Montenegro,i campi di concentramento italiani,l'italianizzazione forzata in Dalmazia e così via. Ma è noto che le vittime,tutte le vittime,non facciano più rumore dell'erba che cresce,come diceva il poeta.Il resto è solo vento che soffia e cenere che si disperde...
...Per approfondire consiglio la lettura di "Italiani,brava gente?" di Angelo del Boca e la visione del film "Il leone del deserto",pellicola di Mustapha Akkad del 1979, con uno strepitoso cast composto da Anthony Quinn,Oliver Reed,Rod Steiger...
il film racconta della feroce occupazione italiana della Libia e della strenua resistenza guidata da Omar Al Muktar (Anthony Quinn),catturato ed impiccato dalle truppe fasciste comandate da Graziani (Oliver Reed) nel 1931.
Questo film non è mai stato distribuito in Italia e dovette subire un processo per vilipendio alle forze armate...è comunque rintracciabile/scaricabile in rete...
giovedì 6 novembre 2008
Berluscobama
venerdì 31 ottobre 2008
mazzieri
In appendice al post precedente...
La borghesia di questo paese è storicamente incompiuta,fondamentalmente retriva e fisiologicamente aggressiva,violenta. I meccanismi di genesi,controllo e conservazione del "Potere" in Italia sono da sempre appannaggio di questa borghesia. Da Giolitti a Berlusconi,passando attraverso vent'anni di dittatura fascista,persiste il "filo nero" che mette in continuità un "regime" con quello successivo .La parentesi della Prima Repubblica si è invece retta su di un compromesso istituzionale che per oltre quarant'anni ha alimentato in Italia l'equivoco di credersi liberi,civili,democratici.In realtà,dietro l'illusione del "paese normale",non si è smesso un attimo di fare i conti con il molock del "Potere" governabile da nessuno (se non dal "Potere" stesso)."L'equivoco" della civiltà,della giustizia,della democrazia, è costato caro.L'autobiografia della nazione ha continuato a scriversi con il sangue.Da Portella della Ginestra al g8 di Genova , "la Storia siamo noi"...
I volti imberbi dei mazzieri tricolori di piazza Navona sono un pezzo non trascurabile di questa "Storia". Ci parlano ,ce ne fossimo dimenticati, del ventre molle d'Italia .Ci ricordano che questo paese ha un'anima nera.Nulla di più,nulla di meno.
La borghesia di questo paese è storicamente incompiuta,fondamentalmente retriva e fisiologicamente aggressiva,violenta. I meccanismi di genesi,controllo e conservazione del "Potere" in Italia sono da sempre appannaggio di questa borghesia. Da Giolitti a Berlusconi,passando attraverso vent'anni di dittatura fascista,persiste il "filo nero" che mette in continuità un "regime" con quello successivo .La parentesi della Prima Repubblica si è invece retta su di un compromesso istituzionale che per oltre quarant'anni ha alimentato in Italia l'equivoco di credersi liberi,civili,democratici.In realtà,dietro l'illusione del "paese normale",non si è smesso un attimo di fare i conti con il molock del "Potere" governabile da nessuno (se non dal "Potere" stesso)."L'equivoco" della civiltà,della giustizia,della democrazia, è costato caro.L'autobiografia della nazione ha continuato a scriversi con il sangue.Da Portella della Ginestra al g8 di Genova , "la Storia siamo noi"...
I volti imberbi dei mazzieri tricolori di piazza Navona sono un pezzo non trascurabile di questa "Storia". Ci parlano ,ce ne fossimo dimenticati, del ventre molle d'Italia .Ci ricordano che questo paese ha un'anima nera.Nulla di più,nulla di meno.
giovedì 30 ottobre 2008
bambini nati morti
"...L'italia non è mai stata capace di esprimere una grande Destra.E' questo,probabilmente,il fatto determinante di tutta la sua storia recente. Ma non si tratta di una causa, bensì di un effetto. L'Italia non ha avuto una grande Destra perchè non ha avuto una cultura capace di esprimerla. Essa ha potuto eprimere solo quella rozza, ridicola, feroce destra che è il fascismo. In tal senso il neofascismo parlamentare è la fedele continuazione del fascismo tradizionale. Senonchè, nel frattempo, ogni forma di continuità storica si è spezzata. Lo "sviluppo", pragmaticamente voluto dal Potere, si è istituito storicamente in una specie di "epochè", che ha radicalmente "trasformato", in pochi anni, il mondo italiano....
...Il contesto sociale è mutato nel senso che si è estremamente unificato. La matrice che genera tutti gli italiani è ormai la stessa. Non c'è dunque differenza apprezzabile - al di fuori di una scelta politica come schema morto da riempire gesticolando - tra un qualsiasi cittadino italiano fascista ed un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che è più impressionante, fisicamente intercambiabili. Nel comportamento quotidiano, mimico, somatico non c'è niente che distingua - ripeto, al di fuori di un comizio o di una azione politica - un fascista da un antifascista (di mezza età o giovane: i vecchi, in tal senso possono essere ancora distinti tra loro). Questo per quel che riguarda i fascisti e gli antifascisti medi. Per quel che riguarda gli estremisti, l'omolagazione è ancora più radicale...."
Pier Paolo Pasolini
venerdì 17 ottobre 2008
Il mito della caverna
Lo stato delle cose riposava nella misura del dopo cena,dentro la risposta neutra dei neon,lungo la traiettoria d'asfalto del parcheggio qui sotto. Noi intanto mantenevamo il controllo dei nostri avamposti. Interpretavamo significati,protetti dalla relativa sicurezza di una casa,di un lavoro,degli affetti. Decodificavamo simboli. Attraversavamo flussi di informazioni.
Ma il nostro giorno dopo giorno scorreva unicamente nelle ombre riflesse sulla parete della caverna. Nessuno tra di noi, schiavi inconsapevoli,che spezzasse le catene. Nessuno che fuggisse per uscirne fuori e finalmente vedere le cose. E non l'ombra delle cose.
Ma il nostro giorno dopo giorno scorreva unicamente nelle ombre riflesse sulla parete della caverna. Nessuno tra di noi, schiavi inconsapevoli,che spezzasse le catene. Nessuno che fuggisse per uscirne fuori e finalmente vedere le cose. E non l'ombra delle cose.
lunedì 22 settembre 2008
stefano giaccone...quattro passi sulla terra difficile 2008
Il mio è un immaginario scarno ed essenziale,formatosi lungo le traiettorie tracciate da quelli che sono,per dirla alla Luigi Meneghello (RIP), i miei "Piccoli Maestri".
Ho vissuto nutrendomi di simboli e significati eccentrici rispetto alle frequentate autostrade dell'ufficialità,anche di quella "alternativa" (a chi poi...a che cosa?).Preferisco i sentieri di montagna.Mi piace camminare in salita.
Certamente un bel pezzo della colonna sonora del mio giorno dopo giorno l'ha scritta Stefano.Il film forse non è così imprescindibile ma le musiche sono almeno coerenti con le immagini e meritano un ascolto.Suoni e parole che sento respirare di un fiato che riconosco mio,nostro,di pochi,di molti.Fiato comune,appunto.
"Secondo me "Corpi Sparsi" rappresenta tra la cose che hai fatto uno dei lavori più importanti per la sua caratteristica di avere in qualche modo ricostruito tutto un certo universo simbolico (il tuo?il mio?di alcuni,pochi,molti,abbastanza?) partendo da un discorso molto personale,molto autobiografico...che peso ha per te la memoria?
La memoria è in un certo senso il tuo spazio immortale.Io credo che oltre il Tempo Fisico esista il proprio Tempo Psichico.In quello spazio ,come in una stanza,si situano memorie e riferimenti,anche collegamenti inconsci, è dove vive la tua unità di essere vivente.Una canzone o il Teatro è un arbitrario percorso in quella stanza."
Le prime volte che lo incrocio Stefano non è da solo.E' una sera del 1989,1990.E' notte ed ascolto Stereodrome.Alberto Campo (forse) mette "Io nella notte" dei Franti.Brividi.Epifania...E' il 1992.Sono ad Alessandria,al Forte Guercio Occupato.Suona uno dei miei gruppi preferiti,i Kina di Aosta.NON MI CHIEDERE SE HO VINTO O SE HO PERSO.Prima del concerto parlo con un tizio con i capelli lunghi e l'aria un pò scazzata.E' al banchetto della Blu Bus.Compro "Non classificato",la ristampa integrale dei dischi dei Franti...la prima ristampa su cd...constatiamo che tutte e due non possiediamo un lettore,ma fa lo stesso.Dopo qualche minuto inizia il concerto dei Kina.Il tizio del banchetto è sul palco,suona la chitarra,il sax,canta.E'Stefano.Il concerto è memorabile...Pochissimo tempo dopo...E' dicembre.Fuori è freddo.Io in macchina con due amici.Sta nevicando.Siamo a Terzo d'Acqui,davanti al cimitero.Fumiamo un paio di canne.Stiamo ascoltando i Franti.NO FUTURE NO DREAMS.Continua a nevicare fitto fitto.Esco dalla macchina e mi ritrovo con le scarpe nella neve.I fiocchi mi ricoprono rapidamente le spalle.Tiro il cappello di lana giù,bene sulle orecchie.Osservo fari lontani muoversi lenti sulla statale.I fari spariscono.Anche i miei amici escono dall'abitacolo.Parliamo a bassa voce per non svegliarci troppo.Respiriamo ancora un pò d' aria fredda e rientriamo.Torniamo in città,uscendo ciascuno dalla propria visione.
"Cosa pensi sia sedimentato della "tempesta controculturale" degli anni '80 (mi riferisco all'autoproduzione/autogestione,al giro dei posti occupati,i punx anarchici ecc.ecc.) di cui Franti è stato uno dei momenti più intensi?
La "tempesta controculturale",così la definisci,degli anni '80 in realtà io l'ho sempre vista come estrema periferia di un processo vasto ed esteso nel tempo,nato nei primi anni '60.L'indipendenza e la rottura anti-convenzionale del fare artistico in realtà risale alle avanguardie pittoriche e poetiche del primo novecento ma è nei '60 che la delusione delle promesse del dopoguerra e soprattutto il sorgere della figura del "giovane" creano certe premesse.Negli anni '80 ovvio ci sono differenze (il punk,la tecnologia) ma credo abbiamo sopravvalutato la nostra capacità di stare "fuori". Non credo sia possibile.Rimane il gesto estremo di resistenza individuale,a livello artistico ed umano.Ma sempre dentro un panorama dominato dalle "Macchine" in cui il sogno naif di crescere "Fuori" mi pare impossibile."
Stefano l'ho rivisto il 30 agosto,a circa 2600 metri di altitudine. Un concerto al rifugio di Pian dei Fiacconi,ai piedi della Marmolada.Una serata che sembra tanto un regalo,un attestato d'affetto per alcune persone che in questi anni hanno continuato ad esserci.Un dirsi grazie,reciprocamente e senza troppe menate.E poi,insieme ad Ilaria,tramonti rossi sulle rocce di granito attorno,mari di nuvole a farci galleggiare in cielo,circa venti persone sconosciute ed immediatamente percepite come affini, come compagni e compagne,a restituire non solo il semplice piacere di una convivialità spesso smarrita per strada,ma la possibilità appunto di un respiro sincronizzato su di un comune "battito del cuore"(cfr Franti/Linton Kwesi Johnson).Stefano ha suonato letteralmente "unplugged",nè ampli,nè microfoni,ha letto poesie e racconti,ha riso e scherzato.Ha cantato.Semplicemente restituendo l'urgenza ed il senso di oltre trent'anni di musica vissuta sulla pelle, oltre ed al di là di ogni tiramento ed autoreferenzialità.Non è poco.
"Franti era il bimbo bastardo che rideva ai funerali del re,che lanciava sassi ai lampioni e che,tra l'altro, ha soffiato sui cuori e le menti dell'omonimo collettivo musicale torinese di cui tu hai fatto parte...secondo te,dove se ne starà oggi Franti?
Difficile parlare di Franti oggi.E'troppo vicino per me,per noi,per poter dire.Chi ascolta,organizza,compra,suona a sua volta,lo sente "fare casino" qua e là,meglio di me.Franti in fin dei conti è un dolcissimo,impossibile azzeramento,come quando da bambini si ripete un gioco."
(Le parti in corsivo sono estratti di un'intervista del 2002 fatta dal sottoscritto a Stefano.L'intervista è stata per qualche tempo leggibile sulla webzine SodaPop,quindi è svanita nel nulla.Vaporizzata.Peccato.)
venerdì 12 settembre 2008
federico tavan
Federico Tavan è un poeta friulano la cui lingua respira del medesimo fiato delle "Poesie a Casarsa" di Pasolini.Federico Tavan è un matto,nel senso di una esistenza letteralmente vissuta a contatto della malattia mentale(Ringrazio la mia strega/e quelle successive/che m'hanno dato occhi/color della terra e del grano/simili a quelli di nessuno./Ringrazio la solitudine/che m'hanno dato per diventar poeta./Ringrazio la pazzia/che mi ha permesso/di restare me stesso.)
Una ospite della comunità psichiatrica in cui lavoro mi ripete spesso "fai attenzione...la malattia mentale è contagiosa".Appunto.Ne so qualche cosa.
Al Mestre
Massacrât
fat a tocs
e stocât
pa la strada.
Tu tu n'à spiegât la storia
dei mûrs altz
mûrs altz
mûrs altz
dal "palazzo"
cjadènes
che tu volève rompe
ch'i devente
come flauries par chî prâtz.
Mestre
al tiô diviers
mout d'éisse
la tô muart
granda tal pantan.
Chist martiriu
cussì just
e nô ignorantz
puoçj restâtz.
Cuanche la lùs
a deventa scovatura,
cuanche un om al è
plen de sanc
a ne insegna la vita
e la muart.
Mestre,
jo te puarte
l'ultima rabia
strenta intal pugn
de la man
coma ultin salût:
al om de cultura
comunista
omosessuale
odiât dai dius de la tiera
l'uniçu ch'al à dit la veretât
e ch'al è finit
coma ch'al veva da finî,
"tra gli sghignazzi
della stampa"
dei mûrs altz, de li cjadenes
dal "palazzo".
Copât
intant ch'al tentava
par l'ultima volta
de vei coraju.
Par me reste uvì
poeta
par chialtres
un stupedu tentativu de recuperâte.
Jo che soi un por biât
no po fâ altre
che jôde incjamò
al "palazzo"
restât tâl e cual
cui mûrs altz
e li cjadenes
Jo che soi mat
e jôt li tô mans
plenes de sgrifades
ch'i tenta de jescî.
AL È NUOT
A OSTIA
DE UVIÊR
NON JOT NUA.
AL È NUOT
A OSTIA
D'UVIÊR
NO JOT NUA.
Al fâi freit
a Ostia
a novembre
mestre
ài FREIT.
Al Maestro
Massacrato
fatto a pezzi
e schiacciato
sulla strada.
Tu ci hai spiegato la storia
dei muri alti
muri alti
del palazzo
catene
che tu volevi rompere
che diventano
come fragole nei prati.
Maestro
il tuo diverso
modo d'essere
la tua morte
nobile nel pantano.
Questo martirio
così giusto
e noi ignoranti
pochi rimasti.
Quando la luce
diventa spazzatura,
quando un uomo è
pieno di sangue
ci insegna la vita
e la morte;
Maestro,
io ti porto
l'ultima rabbia
stretta nel pugno
della mano
come ultimo saluto:
all'uomo di cultura
comunista
omosessuale
odiato dai potenti della terra
l'unico che ha detto la verità
e che è finito
come doveva finire,
"tra gli sghignazzi
della stampa"
dei muri alti,
delle catene
del palazzo.
Ammazzato
Mentre tentava
per l'ultima volta
di avere coraggio.
Per me resti il
poeta,
per gli altri
uno stupido tentativo di recuperarti.
Io che sono un povero diavolo
non posso far altro
che vedere ancora
il palazzo,
rimasto tale e quale,
con i muri alti
e le catene.
Io che sono matto
vedo le tue mani
piene di graffi
che tentano di uscire.
È NOTTE
A OSTIA
D'INVERNO
NON VEDO NULLA.
È NOTTE
A OSTIA
D'INVERNO
NON VEDO NULLA.
È freddo
A Ostia
a novembre
maestro
ho FREDDO
mercoledì 10 settembre 2008
nemesi
Oggi pomeriggio, uscendo dal lavoro, ho attraversato con l'auto un incrocio decisamente trafficato.Completamente perso dentro stanchezza e pensieri negativi ho tirato dritto,bruciando di netto il semaforo rosso. Ho frenato bruscamente per non investire alcuni pedoni.Una coppia di anziani.Una Madre con passeggino. Nel frattempo dalla strada perpendicolare sulla mia destra, arrivavano alcuni mezzi.Auto,moto, motorini.Clacson che suonano nervosi.Il risveglio è brusco.Resto per qualche istante turbato.Poi mi riprendo e riparto.Mentre guido verso casa inizia a prendere forma,poco alla volta, un pensiero.Il pensiero si espande, articolandosi in sequenze di immagini;la visione assume l'aspetto embrionale di un racconto.Dentro la mia testa si materializza all'improvviso un uomo di mezza età.Un uomo bello. Elegante.Evidentemente ricco ed istruito.Quadro dirigente di una qualche azienda.E' sposato ma non si fa certo mancare diversivi extraconiugali. Continua ad avere molto successo con le donne.Arriva sempre dove deve arrivare.Ci arriva sempre al momento giusto.E'un soggetto riconducibile al modello antropologico dominante nel mondo occidentale.Un classico esempio di vincente, nei limiti posti da una società post capitalistica in fase recessiva.Si tratta quindi di un uomo autoritario in cui finiscono con il sintetizzarsi e coagularsi molte nevrosi ed idiosincrasie proprie del dilagante "soft fascism".Sufficentemente aggressivo con gli inferiori, servile con i superiori gerarchici.Un razzista, ma di tipo particolare.Nutre un odio viscerale verso le minoranze non produttive.E' alla guida della sua auto da settantamila euro.Ad un incrocio una vecchia carretta sfondata non gli da la precedenza.Si tratta di una vecchia peugeot.Alla guida due sgradevoli soggetti, brutti,grassi,sudati, dai tratti inequivocabilmente rom. Lanciano una occhiata piena di sfida ed arroganza al nostro personaggio (o almeno...così il nostro personaggio interpreta lo scambio di sguardi che effettivamente ha con gli zingari).Questi reagisce facendo il dito.Inoltre lancia alcuni pesanti insulti razzisti.Inizia ad inseguire il rottame dei due rom.La testa gli prende fuoco.Ogni luogo comune negativo su nomadi,stranieri e facce scure di vario grado ed etnia è un film le cui sequenze sono i titoli e le foto della cronaca nera,distrattamente letta ogni mattina sul suo quotidiano preferito.Sporchi zingari,ladri e fannulloni.Sfruttatori di bambini.Ladri di bambini.Si immagina prendere a calci in faccia il più grasso e sudato dei due rom.Questi pensieri violenti e paranoidi si susseguono vertiginosamente.Non si accorge del semaforo rosso.Si tratta di una frazione di secondo.Investe una mamma con due bambini.Volano tutti per aria.Il rumore dei corpi che cadono disarticolati sull'asfalto dieci metri più in là è un tonfo sordo.Come un enorme sacchetto pieno d'acqua che eplode per terra.Gli investiti si fanno ovviamente molto male.Potrebbero essere tutti morti.L'autista solleva la testa dal parabrezza sfondato.Sangue sul volto.La folla inizia a raccogliersi intorno al luogo dell'incidente.Mentre si attende l'arrivo della polizia e dell'ambulanza qualcuno inizia ad inveire contro il nostro uomo di successo.Sempre qualcuno tira fuori di peso il nostro personaggio dalla sua auto da settantamila euro.Iniziano a picchiarlo selvaggiamente.Arriva la polizia che lo strappa alla folla inferocita.Il giorno dopo il suo giornale preferito,in cronaca, titola "PIRATA DELLA STRADA INVESTE MADRE CON BAMBINI.POSITIVO ALLA COCAINA.LA POLIZIA LO SALVA DAL LINCIAGGIO".
Oggi ho avuto una giornata piuttosto dura.
E per fortuna esistono tentativi di narrazione destinati a fallire prima di ogni significativo sviluppo.
Oggi ho avuto una giornata piuttosto dura.
E per fortuna esistono tentativi di narrazione destinati a fallire prima di ogni significativo sviluppo.
martedì 2 settembre 2008
waking life (richard linklater 2001)
"...l'autolesionista avverte di essere completamente alienato,assolutamente solo,estraneo alla comunità degli uomini. Tra sè e sè pensa "devo essere pazzo!"...Quello che non riesce a capire è che la società è esattamente come lui...Un particolare interesse nelle grandi sciagure,nelle catastrofi. Guerre,carestie,alluvioni e terremoti rispondono a bisogni ben precisi...L'essere umano vuole il caos. In realtà gli è necessario! Depressione,conflitti,sommosse,omicidi... Tutto questo terrore... Siamo irresistibilmente attratti da quello stato semiorgiastico creato dalla morte e dalla distruzione. Siamo fatti così! E la cosa ci piace! Certo, i media cercano di mettere una maschera triste a queste cose dipingendole come grandi tragedie umane... Ma sappiamo bene che il compito dei media non è mai stato quello di eliminare i mali del mondo. No! Il loro compito è convincerci di accettare questi mali ed abituarci a convivere con essi. Chi ha in mano il potere ci vuole semplici spettatori passivi...Hai un fiammifero? E non ci hanno dato nessun altro diritto di scelta a parte l'occasionale, puramente simbolico e partecipatorio atto del voto! Vuoi il burattino di destra o vuoi il burattino di sinistra? Credo sia arrivato il momento di incanalare tutte le mie inadeguatezze e le mie insoddisfazioni negli attuali piani politici e scentifici e di far sentire la mia voce spenta..."
"...Una volta un mio amico mi disse che il peggiore errore che si possa fare è quello di credere di essere vivi quando invece stai dormendo nella sala d'attesa della vita. Il trucco sta nel combinare le tue facoltà razionali nello stato di veglia con le infinite possibilità che puoi incontrare nei tuoi sogni. Se riesci a fare questo puoi fare tutto. Hai mai fatto un lavoro che odiavi dando tutto te stesso? Dopo aver sgobbato tutto il giorno finalmente arrivi a casa, ti metti a letto,chiudi gli occhi ed improvvisamente ti accorgi che quella dura giornata di lavoro era solamente un sogno. E' già abbastanza brutto vendere la tua vita per il minimo sindacale, ma ora si prendono anche i tuoi sogni,gratis..."
mercoledì 27 agosto 2008
malcom lowry
"...Ventinove nuvole.Un uomo ventinovenne era già sui trent'anni.E lui aveva ventinove anni.E finalmente,sebbene questo sentimento avesse preso corpo in lui durante tutta la mattina,sapeva che cosa fosse l'intollerabile urto di quella conoscenza che sarebbe potuta venirgli a ventidue anni,ma che non gli era venuta,che gli sarebbe dovuta venire almeno a venticinque e non gli era venuta neanche allora,quella conoscenza concessa finora solo alle persone che stanno sull'orlo della tomba e al poeta A.E.Housman,che non si può essere giovani per sempre,che,infatti,in un batter d'occhio,ecco,non si è più giovani.Ché in meno di quattro anni,passati così velocemente che la sigaretta di oggi pareva fumata ieri,uno ne avrebbe avuti trentatrè e in altri sette,quaranta;in altri quaranta,ottanta.Sessantasette anni sembrano un periodo di tempo consolantemente lungo,ma allora egli avrebbe avuto cent'anni.Non sono più un prodigio.Non ho più scuse per comportarmi in questa maniera irresponsabile.Non sono poi un tipo talmente brillante.Non sono giovane.D'altra parte:SONO un prodigio,SONO giovane,SONO un tipo brillante.Non lo sono,forse?Tu sei un bugiardo,gli dissero gli alberi che si agitavano nel giardino.Sei un traditore,frusciarono le foglie dei banani.E anche un vigliacco,aggiunsero alcune note di musica intermittente,che avrebbero anche potuto significare che nello zòcalo la fiera stava per cominciare..."
da "Sotto il vulcano"
...ecco.Ho trentaquattro anni.NON sono giovane,NON sono un prodigio,NON sono un tipo brillante.NON capisco per quale motivo sull'ultima pagina della mia copia di "Sotto il vulcano" abbia scritto
"Il vento attraverso il Raval,la luce da Gracia a Barceloneta,odore di mare.Azzurro,verde,rosso,bianco,giallo. Barcelona,maggio2006 "
domenica 24 agosto 2008
Asfalto bagnato
L'odore dell'asfalto bagnato d'estate,dopo un temporale,conserva la perfetta sensazione dell' infanzia.C'è un bambino per strada nel pomeriggio di un agosto lontano.Sono le cinque ed ha appena smesso di piovere.L'asfalto trasuda calore ed umidità che si condensa, profumando l'aria.L'esplosione elettrica del temporale è stata breve e violenta.Dura giusto il panino al salame preparato dalla nonna per merenda.Ci sono molti altri bambini.Ciascuno di loro pensa di essere Bruno Conti,Paolo Rossi,Falcao,Zico,Rumenigge,Platinì.In fondo alla strada c'è un vecchio decrepito deposito di marmi.Sul muro di cinta di mattoni grigi e sbrecciati è tracciato a vernice bianca un rettangolo. Vorrebbe essere la porta di un campo da calcio immaginario.I bambini tirano pallonate contro il muro cercando di centrare la porta.Quando la palla va a segno la immaginano oltrepassare i vecchi mattoni grigi. Riescono a vedere la rete della porta gonfiarsi dietro.Il vecchio deposito di marmi oggi non c'è più.Era pericolante e quindi l'hanno demolito.Al posto suo c'è un condominio.Quando uno dei vecchi bambini della strada ne incrocia per caso un altro difficilmente lo saluta.Al limite può scappare un distratto cenno del capo.I vecchi bambini hanno preso le loro strade.Chi si è sposato,chi è rimasto solo,chi ha fatto i soldi,chi è rimasto povero,chi s'è bruciato il cervello e chi sfondato le vene.Le vecchie parole intanto sono finite.Come le pallonate contro il muro.
Agosto 1982-1983-1984-2008
Agosto 1982-1983-1984-2008
lunedì 18 agosto 2008
Il Bennet visto dalla luna
Sono le otto di sera ed arrivi a San Giorgio Scarampi.E' domenica, ed hai lavorato tutto il giorno.La notte precedente hai dormito tre ore.Scendi dall'auto e ti metti in piedi su una panchina del belvedere. La tua faccia è rivolta al disco arancione del sole che tramonta.La langa che hai di fronte si incendia di rosso e di oro, verso Cortemilia ed il Todocco,Castino e Perletto.Quello che vedi ha una potenza ancestrale,pagana.Come il sangue delle donne.Come il grano che cresce.
Entri nel minuscolo ristorante.Sei in buona compagnia e mangi molte ottime cose.Lingua con bagnetto di capperi,fiori di zucchino ripieni di patata e salsiccia,gnocchetti con formaggetta di Roccaverano e basilico.Alla fine prendi il caffè e ti bevi due grappini.Esci nel giardino del ristorante.Da questo lato le colline si aprono e degradano verso la Val Bormida.A dieci venti chilometri in linea d'aria, verso il basso, vedi la tua piccola città. E' un insieme di puntini luminosi e pulsanti,gialli e bianchi.Il tuo sguardo si concentra con insistenza su una luce rossa orizzontale più grande e luminosa delle altre.Intanto sulla tua testa la luna risplende bianca e piena.Vedi le ombre dei pipistrelli tracciare invisibili spirali nell'aria.Un vento dolce ma costante ti segnala la sua forza.I rami degli alberi si muovono ed ascolti il frusciare delle foglie.Hai freddo alle braccia nude.Una ragazza ti scalda con il suo abbraccio.La notte tutt'attorno è una pellicola blu viola sulle cose.I tuoi occhi ricadono sulla luce rossa orizzontale là in fondo.La riconosci.E' il Bennet.Allora capisci qual'è il punto.Qualche cosa non ritorna mai.Rimane sempre fuori posto.
giovedì 14 agosto 2008
arbeit macht frei
Linfa arida e fili secchi
del vostro aborto pensiero
il sasso del mio cuore
sbriciolato ormai nel completo merdaio
del vostro gratuito scorrere
di minuti ore giorni
il respiro muffa delle vostre bocche
avvelena il mio pane quotidiano
bagnandomi sugli occhi
lo sguardo da tragico buon senso
del cane bastonato
Alzarsi la mattina con lo scopo ultimo
di segnare il territorio
con la pisciata scolorita
della mia inumana ansia di mediazione
entro cui sancire in progressione
la eutanasia della mia anima
Mio sonno mio cancro.
del vostro aborto pensiero
il sasso del mio cuore
sbriciolato ormai nel completo merdaio
del vostro gratuito scorrere
di minuti ore giorni
il respiro muffa delle vostre bocche
avvelena il mio pane quotidiano
bagnandomi sugli occhi
lo sguardo da tragico buon senso
del cane bastonato
Alzarsi la mattina con lo scopo ultimo
di segnare il territorio
con la pisciata scolorita
della mia inumana ansia di mediazione
entro cui sancire in progressione
la eutanasia della mia anima
Mio sonno mio cancro.
lunedì 11 agosto 2008
bringin'it all back home...
A volte ritornano certi suoni e certe parole a restituire almeno un pò di vita smarrita...o necessaria umanità, più semplicemente...
Elliot Smith-Angeles
Eric Dolphy-God bless the child
Karen Dalton-God bless the child
MR. Robert Zimmerman from Duluth, Minnesota-It's allright Ma (i'm only bleeding)
Elliot Smith-Angeles
Eric Dolphy-God bless the child
Karen Dalton-God bless the child
MR. Robert Zimmerman from Duluth, Minnesota-It's allright Ma (i'm only bleeding)
venerdì 8 agosto 2008
La Cina è vicina
Maurizio Gasparri, presidente dei senatori PDL, e la ministra della gioventù Giorgia Meloni hanno dimostrato grande attenzione alle continue violazioni dei diritti umani e civili in Cina, invitando gli atleti italiani a boicottare l'apertura dei giochi olimpici di Pechino. Strano quindi che entrambe facciano parte di un governo che si è recentemente impegnato nella schedatura e nella raccolta delle impronte digitali dei bimbi rom...e che rispetto ad altre questioni riguardanti i diritti umani nel cortiletto di casa nostra non abbiano mai espresso altrettanta solerzia e sensibilità.
Qualcuno si ricorda,ad esempio, del 20 e 21 luglio 2001 a Genova? E della scuola Diaz? E di Bolzaneto?
Quello che segue è l'articolo pubblicato dal Guardian in occasione della sentenza al processo sui sorprusi e le violenze a Bolzaneto e nella scuola Diaz ( ho trovato questa traduzione in rete, su "Il blog di Jimmi").
"Mancava poco a mezzanotte, quando il primo poliziotto colpì Mark Covell, abbattendo il manganello sulla sua spalla sinistra. Covell fece del suo meglio per gridare in italiano che era un giornalista ma, in pochi secondi, fu circondato da ufficiali della squadra antisommossa che lo colpirono con i loro bastoni. Per un po’ di tempo riuscì a rimanere sui suoi piedi, ma poi una bastonata al ginocchio lo spedì sul marciapiede.
A faccia in giù nel buio, ammaccato ed impaurito, sentiva le forze di polizia intorno a lui ammassarsi per attaccare la scuola Diaz Pertini dove 93 giovani manifestanti stavano dormendo sui pavimenti. Covell sperava che una volta iniziata l’irruzione dalle porte principali non avrebbero più fatto attenzione a lui. Se fosse accaduto lui avrebbe potuto attraversare la strada zoppicando per trovare rifugio nel centro di Indymedia, dove aveva trascorso gli ultimi tre giorni scrivendo articoli sul G8 e sulle violenze della polizia.
È stato in quel momento che un poliziotto gli saltò addosso e gli diede un calcio nel petto con tale forza che l’intero lato sinistra della sua gabbia toracica cedette, mezza dozzina di costole si fratturarono e le schegge penetrarono nel polmone sinistro. Covell, che è alto 1,73 mt. e piuttosto leggero, fu sollevato da terra e volò in mezzo alla strada. Sentì il poliziotto ridere. Un pensiero si formò nella mente di Covell: “Non ce la posso fare.”
La squadra antisommossa era ancora occupata con la porta, così un gruppo di agenti pensò di passare il tempo giocando a calcio con Covell. Questo incontro provocò la frattura della sua mano sinistra e danneggiò la colonna vertebrale. Da qualche parte dietro di lui, Covell sentì un poliziotto gridare che era abbastanza “Basta! Basta!” e sentì che trascinavano il suo corpo di nuovo sul marciapiede.
Un furgone blindato della polizia abbatté le porte della scuola e 150 agenti di polizia, la maggior parte dei quali indossava elmetti e portava manganelli e scudi, si riversò nell’edificio indifeso. Due agenti rimasero ad occuparsi di Covell: uno gli fratturò il cranio con il bastone, l’altro gli calciò ripetutamente in bocca rompendogli una dozzina di denti. Covell svenne.
Ci sono molte buone ragioni per cui non dobbiamo dimenticare ciò che accadde a Covell, che aveva allora 33 anni, quella notte a Genova. La prima è che questo episodio fu solo l’inizio. Entro la mezzanotte del 21 luglio 2001, gli agenti di polizia passarono attraverso tutti e quattro i piani del palazzo Diaz Pertini, dispensando la loro disciplina speciale agli occupanti, riducendo i dormitori di fortuna in ciò che un ufficiale in seguito descrisse come “una macelleria messicana”. Loro e i loro colleghi poi incarcerarono illegalmente le loro vittime in un centro di detenzione, che divenne un luogo di terrore.
La seconda è che, sette anni dopo, Covell e le altre vittime sono ancora in attesa di giustizia. Lunedi scorso 15 tra poliziotti, guardie carcerarie e sanitari sono finalmente stati condannati per aver partecipato alle violenze, anche se ieri è emerso che nessuno di loro sarà incarcerato. In Italia, gli imputati non vanno in prigione fino a quando non sia concluso il processo d’appello, e in questo caso le sentenze verranno cancellate il prossimo anno per superamento dei limiti di prescrizione. Nel frattempo, i politici che furono responsabili delle forze di polizia, delle guardie carcerarie e personale medico non hanno mai dovuto render conto di questi fatti. Domande fondamentali circa il motivo per cui questo è accaduto rimangono senza risposta, e questo ci porta al terzo e più importante motivo per ricordare Genova. Questo non è semplicemente la storia di poliziotti che reprimono una rivolta, ma c’è qualcosa di peggio e più preoccupante sotto la superficie.
Il fatto che questa storia possa essere raccontata testimonia sette anni di duro lavoro, sotto la guida coraggiosa del pubblico ministero incaricato Emilio Zucca. Aiutato da Covell e dal suo personale, Zucca ha raccolto centinaia di testimonianze e analizzato 5000 ore di filmati e migliaia di fotografie. Messi assieme essi raccontano una storia inconfutabile, che iniziò a svolgersi quando Covell restò sanguinante sul terreno.
Le forze di polizia irruppero nella scuola Diaz Pertini. Alcuni di loro gridarono “Black Bloc! Stiamo per ammazzarvi” ma se davvero essi credettero di trovarsi di fronte ai famosi Black Bloc, gli anarchici che causarono violenti tumulti in varie parti della città durante le manifestazioni della giornata, essi si sbagliarono. La scuola fu messa a disposizione dalla città di Genova come base per dimostranti che non avevano nulla a che vedere con il black bloc; furono anche messe guardie per assicurarsi che nessuno di questi entrasse.
Uno dei primi a vedere la squadra antisommossa irrompere fu Michael Gieser, un economista belga di 35 anni che, come disse successivamente, aveva appena indossato il suo pigiama ed era in coda per il bagno con il suo spazzolino in mano quando il raid ebbe inizio. Gieser crede nella forza del dialogo e in un primo momento si diresse verso di loro dicendo: “Dobbiamo parlare.” Vedendo poi le giacche imbottite, i bastoni antisommossa, i caschi e i fazzoletti che coprivano le facce dei poliziotti cambiò idea e corse su per le scale per scappare.
Altri furono più lenti. Erano ancora nei loro sacchi a pelo. Un gruppo di 10 amici spagnoli nel mezzo della sala si svegliarono e si trovarono picchiati con bastoni. Essi alzarono le mani in segno di resa. Altri agenti si affollarono per picchiarli in testa, provocando loro tagli, ematomi e rottura degli arti, incluso il braccio di una signora di 65 anni. Su un lato della camera diversi giovani erano seduti ai computer, ed inviavano email a casa. Una di loro era Melanie Jonasch, 28 anni, una studentessa di archeologia di Berlino che si era offerta volontaria per dare una mano nell’edificio e non era nemmeno andata alla manifestazione.
Lei ancora riesce a ricordare ciò che accade. Ma numerosi altri testimoni hanno descritto come gli agenti la assalirono, picchiandola in testa così duramente con i loro bastoni che perse subito conoscenza. Quando cadde a terra, gli agenti la circondarono, picchiando e prendendo a calci il suo corpo inerme, sbattendogli la testa contro un armadio nelle vicinanze, e lasciandola infine in un lago di sangue. Katherina Ottoway, che lo vide accadere, ricorda: “Tremava tutta. I suoi occhi erano aperti ma rovesciati. Pensai che stesse per morire, che non sarebbe sopravvissuta.”
Nessuno di quanti stavano al piano terra uscì indenne. Zucca scrive nella requisitoria: “Nel giro di pochi minuti, tutti gli occupanti del piano terra furono ridotti all’impotenza, i lamenti dei feriti si mescolarono con le richieste di chiamare le ambulanze.” Per la paura molte vittime persero il controllo e se la fecero addosso. Quindi i tutori della legge salirono su per le scale. Nel corridoio al primo piano trovarono un piccolo gruppo, tra cui Gieser che ancora stringeva il suo spazzolino: “Qualcuno suggerì di distendersi, per dimostrare che non avremmo opposto resistenza. Così feci. La polizia arrivò ed iniziò a picchiarci uno per uno. Mi protessi la testa con le mani. Pensai:’Devo sopravvivere.’ La gente stava gridando:’Per favore fermatevi.’ Io dissi la stessa cosa … Mi ha fatto pensare a un macelleria di maiali. Siamo stati trattati come animali, come maiali. ”
Gli agenti ruppero le porte delle stanze che davano sul corridoio. In una trovarono Dan McQuillan e Norman Blair, che arrivarono in aereo da Stansted per mostrare il loro sostegno in favore, come disse McQuillan, di “una società libera e giusta con persone che vivono in armonia gli uni con gli altri”. I due inglesi e il loro amico neozelandese, Sam Buchanan, avevano udito l’attacco della polizia al piano terra e cercarono di nascondere se stessi e i loro sacchi sotto alcuni tavoli in un angolo della stanza buia. Una decina di ufficiali irruppero e li scoprirono con le torce, e anche se McQuillan si alzò con le mani sollevate dicendo: “Calmi, calmi.” li martoriarono infliggendo loro numerosi tagli e lividi, e ruppero il polso di McQuillan. Norman Blair ricorda: “potevo sentire cattiveria e odio in loro.”
Gieser era fuori nel corridoio: “La scena intorno a me era coperta di sangue, ovunque. Un poliziotto gridò ‘Basta!’. Quella parola aprì un filo di speranza. Capii il suo significato. Ma essi non smisero. Continuarono con evidente soddisfazione. Alla fine si fermarono, ma fu come togliere un giocattolo ad un bambino contro la sua volontà.”
A questo punto ci sono agenti di polizia su tutti i quattro piani dell’edificio che aggrediscono e picchiano. Molte vittime descrivono una violenza sistematica, per cui ogni agente picchiava ogni persona che incontrava, poi passava alla vittima successiva, mentre il suo collega continuava a picchiare la prima. Sembrava importante che tutti venissero feriti. Nicola Doherty, una assistente londinese di 26 anni, ha poi descritto come il suo compagno Richard Moth le si gettò sopra per proteggerla: “Potevo ascoltare i colpi sul suo corpo. La polizia si sporgeva sopra Rich in modo da poter colpire le parti del mio corpo che restavano esposte.” Quando cercò di coprirsi la testa con il braccio gli ruppero il polso.
In un corridoio ordinarono ad un gruppo di giovani uomini e donne di inginocchiarsi, in modo che fosse più facile colpirli sulla testa e sulle spalle. Qui fu dove Daniel Albrecht, ventunenne studente di violoncello di Berlino, fu colpito in testa così brutalmente che fu necessario un intervento chirurgico per arrestare l’emorragia al cervello. Intorno all’edificio gli agenti roteavano i manganelli, impugnando la parte terminale per usare l’impugnatura ad angolo come un martello.
E in mezzo a questa inarrestabile violenza, ci furono momenti in cui le forze di polizia preferirono l’umiliazione: un poliziotto si fermò a gambe larghe di fronte ad una donna inginocchiata e ferita, le spinse l’inguine in faccia prima di fare lo stesso con Daniel Albrecht inginocchiato accanto a lei; un agente interruppe le percosse, prese un coltello e tagliò i capelli alle sue vittime, tra cui Nicola Doherty; vi erano continui insulti urlati; un poliziotto chiese ad un gruppo se stavano bene e ad uno che disse “No” reagì dandogli un’altra razione di botte.
Alcuni sfuggirono, almeno per un poco. Karl Boro si rifugiò sul tetto, ma poi commise l’errore di tornare all’interno, dove gli causarono pesanti ematomi a braccia e gambe, una frattura al cranio, ed un’emorragia al torace. Jaraslaw Engel, polacco, riuscì ad uscire dalla scuola attraverso le impalcature, ma fu catturato in strada da alcuni agenti che lo colpirono sulla testa, lo sdraiarono sul terreno e si fermarono su di lui fumando mentre il sangue colava sull’asfalto.
Due tra gli ultimi ad essere catturati furono un paio di studenti tedeschi, Lena Zuhlke, 24 anni, e il suo compagno Niels Martensen. Si erano nascosti in un’armadio per le pulizie all’ultimo piano. Sentirono la polizia avvicinarsi, battendo i manganelli contro le pareti delle scale. La porta dell’armadio si aprì, Martensen fu trascinato fuori e picchiato da una dozzina di agenti disposti a semicerchio intorno a lui. Zuhlke corse in corridoio e si nascose in gabinetto. Alcuni agenti la videro, la inseguirono e la trascinarono fuori per i capelli.
Nel corridoio la puntarono come cani con una lepre. Fu colpita alla testa e presa a calci da tutti i lati sul pavimento, dove sentì la sua gabbia toracica collassare. Fu trasportata fino al muro dove un poliziotto le puntò il ginocchio all’inguine, mentre altri continuavano ad assalirla con i manganelli. Lei scivolò lungo il muro e continuarono a colpirla a terra: “Sembrava che si stessero divertendo, quando ho gridato di dolore, la cosa sembrò dare loro ancora più piacere.”
Alcuni agenti di polizia trovarono un estintore e spruzzarono schiuma sulle ferite di Martensen. La sua compagna fu sollevata per i capelli e gettata giù per le scale a testa sotto. Infine trascinarono Zuhlke nella sala al piano terra, dove avevano radunato decine di prigionieri provenienti da tutto l’edificio in un caos di sangue e di escrementi. La gettarono sopra ad altre due persone. Non si muovevano, e Zuhlke chiese loro se fossero vivi. Essi non risposero, e lei rimase distesa sulla schiena, incapace di muovere il braccio destro e di fermare gli spasmi al braccio sinistro e alle gambe, mentre il sangue le usciva dalle ferite alla testa. Passava un gruppo di agenti, ed ognuno di loro sollevò il fazzoletto che gli nascondeva il volto, e si chinò a sputarle in faccia.
Perché i tutori dell’ordine si comportarono con tale disprezzo per la legge? La risposta più semplice può essere quella cantata al di fuori dell’edificio scolastico dai manifestanti i quali scelsero una parola che sapevano la polizia avrebbe capito: “Bastardi! Bastardi!” Ma qualcos’altro accadde qui, qualcosa che emerse più chiaramente nel corso dei giorni successivi.
Covell e decine di altre vittime dei raid furono ricoverati all’ospedale San Martino, dove agenti di polizia passeggiavano per i corridoi, battendo i manganelli sulle palme delle mani, ordinando ai feriti di non muoversi o guardare fuori dalla finestra, tenendo molti di loro ammanettati ed inviandoli, spesso con ferite ancora non curate, attraverso la città a raggiungere numerosi compagni, provenienti dalla scuola Diaz e dalle dimostrazioni, detenuti presso il centro di detenzione di Bolzaneto.
I segnali di qualcosa di brutto apparirono prima in modo superficiale. Alcuni agenti avevano canzoni fasciste come suonerie sul loro telefono cellulare e parlavano con entusiasmo di Mussolini e Pinochet. Più volte, essi ordinarono ai prigionieri di dire “Viva il duce”. A volte usarono le minacce per costringerli a cantare canzoni fasciste oppure: “Un, due, tre. Viva Pinochet!”
La 222 persone trattenute a Bolzaneto sono state trattate con metodi più tardi descritta dai pubblici ministeri come tortura. All’arrivo furono marcati con croci a pennarello su ogni guancia, e molti sono stati costretti a camminare tra due file di agenti che li colpivano con calci e bastonate. La maggior parte sono stati ammassati in grandi celle, contenenti fino a 30 persone. Qui furono costretti a stare in piedi per lunghi periodi di fronte al muro con le mani in alto e le gambe divaricate. Quelli che non riuscivano a mantenere la posizione erano sgridati, schiaffeggiato e percossi. Mohammed Tabach ha una gamba artificiale e quando, incapace di tenere la stressante posizione, crollò fu ricompensato con due spruzzate di spray al pepe nel volto e, più tardi, con un pestaggio particolarmente feroce. Norman Blair ricorda che stava in quella posizione quando una guardia gli chiese “Chi ti governa?” “La persona prima di me aveva risposto ‘la polizia’, e così dissi lo stesso. Avevo paura di essere picchiato”.
Stefan Bauer ebbe il coraggio di reagire: quando una guardia gli chiese in tedesco da dove proveniva, egli disse di appartenere all’Unione europea e che aveva il diritto di andare dove voleva. Fu portato all’esterno, picchiato, gli fu spruzzato spray al pepe in pieno volto, venne spogliato nudo e messo sotto una doccia fredda. I suoi vestiti furono portati via e fu riportato nella cella fredda indossando solo un leggero camice da ospedale.
Ai detenuti tremanti sui freddi pavimenti di marmo delle celle furono date poche coperte o nessuna, furono tenuti svegli dalle guardie, fu dato loro poco o nessun cibo e negato loro il diritto di fare telefonate e vedere un avvocato. Essi potevano sentire pianti e urla provenienti dalle altre celle.
A uomini e donne con capelli alla rasta questi vennero tagliati in modo grossolano. Marco Bistacchia fu portato in un ufficio, spogliato nudo, fatto mettere a quattro zampe e gli fu ordinato di abbaiare come un cane e gridare “Viva la polizia italiana!” Egli era troppo singhiozzante per obbedire. Un anonimo agente ha detto al quotidiano italiano La Repubblica che aveva visto altri agenti urinare su prigionieri e picchiarli perchè si rifiutavano di cantare Faccetta Nera, una canzone dell’era di Mussolini.
Ester Percivati, una giovane turca, ricorda che le guardie la chiamavano puttana mentre veniva condotta in bagno, dove un agente donna le spinse la testa in giù nella tazza e un maschio la derideva:”Bel culo! Vuoi che ti ci infili un manganello?” Diverse donne raccontarono di minacce di stupro, sia anale che vaginale.
Anche l’infermeria era pericolosa. A Richard Moth, riempito di tagli e lividi mentre proteggeva la sua compagna, furono dati punti sulla testa e sulle gambe senza anestesia “un’esperienza estremamente dolorosa e molesta. Hanno dovuto tenermi fermo.” Tra i condannati per abusi Lunedi scorso troviamo anche personale medico.
Tutti concordano che questo non non fu un tentativo di far parlare i detenuti, ma si cercò semplicemente di creare paura. E funzionò. Nelle testimonianze i detenuti descrivono il loro senso di impotenza, di essere tagliati fuori dal resto del mondo in un luogo senza leggi ne regole. Infatti la polizia obbligò i prigionieri a firmare dichiarazioni di rinuncia tutti i loro diritti legali. Un uomo, David Larroquelle, testimoniò di essersi rifiutato ed ebbe tre costole rotte. Percivati anche si rifiutò, e gli sbatterono la faccia contro il muro, rompendogli gli occhiali e facendogli sanguinare il naso.
Al mondo esterno fu data un’immagine molto distorta di tutto questo. Mentre era all’ospedale San Martino il giorno dopo i pestaggi, Covell si sentì scrollare la spalla da una donna che capì essere dell’ambasciata Britannica. Fu solo quando un uomo iniziò a prendere fotografie che egli realizzò che era una reporter del Daily Mail. In prima pagina il giorno successivo fu pubblicato un falso articolo in cui lui venne descritto come uno degli organizzatori dei disordini. (Quattro anni più tardi, Il Mail sì è poi scusato pagando a Covell un risarcimento danni per violazione della privacy.)
Mentre i suoi cittadini erano malmenati e torturati in stato di detenzione illegale, il portavoce dell’allora Primo Ministro Tony Blair dichiarava: “La polizia italiana ha avuto un difficile compito. Il primo ministro ritiene che l’abbiano portato a termine.”
La stessa polizia italiana alimentò i mezzi di informazione con una dieta ricca di menzogne. Mentre i corpi sanguinanti venivano portati fuori dall’edificio della Diaz Pertini sulla barelle, la polizia raccontava ai giornalisti che le ambulanze schierate in strada non avevano niente a che fare con il raid, e/o che le ferite, palesemente fresche erano vecchie, oppure che l’edificio fu trovato pieno di estremisti violenti che attaccarono i poliziotti.
Il giorno successivo, alcuni ufficiali tennero una conferenza stampa durante la quale annunciarono che chiunque era stato trovato nell’edificio sarebbe stato accusato di resistenza all’arresto e cospirazione per causare distruzioni. Successivamente i tribunali respinsero ogni singolo addebito nei confronti di ogni singola persona. Incluso Covell. La polizia lo accusò di una serie di gravi reati descritti dal pubblico ministero Enrico Zucca come “grotteschi”.
Nella stessa conferenza stampa la polizia mostrò alcune delle cosiddette armi ritrovate. Vi erano piedi di porco, martelli e chiodi che essi stessi avevano preso da un cantiere vicino alla scuola; strutture di zaini in alluminio, che furono presentate come armi offensive, 17 telecamere, 13 paia di occhiali da nuoto, 10 coltellini tascabili e una bottiglia di lozione Sun-Tan. Mostrarono inoltre due bottiglie molotov che, come Zucca poi concluse, furono precedentemente trovate dalla polizia in un’altra parte della città e portate nell’edificio della Diaz Pertini a raid concluso.
La disonestà pubblica fu parte di un più ampio sforzo per coprire ciò che era accaduto. Nella notte del raid, un gruppo di 59 poliziotti entrò nell’edificio di fronte alla Diaz Pertini, dove Covell e altri avevano organizzato il centro di Indymedia e dove, soprattutto, un gruppo di avvocati stava raccogliendo prove sugli attacchi delle forze di polizia durante le precedenti dimostrazioni. I poliziotti entrarono nella stanza degli avvocati, minacciarono gli occupanti, ruppero i loro computer e sequestrarono i dischi fissi. Portarono via anche qualsiasi cosa contenesse materiale fotografico o video.
Anche se i giudici si rifiutarono di condannare i detenuti, la polizia ottenne per tutti l’espulsione dal paese, e l’interdizione all’ingresso per un periodo di cinque anni. Così, i testimoni sono stati eliminati dalla scena. Come le iniziali accuse, anche tutti gli ordini di espulsione sono stati successivamente respinti dai tribunali in quanto illegali.
Zucca combattè la sua battaglia per anni, tra negazioni e offuscamenti. Nella sua relazione ufficiale, ha constatato come tutti gli alti ufficiali negarono qualsiasi coinvolgimento: “Non vi fu un singolo ufficiale che confessò di aver avuto un qualche ruolo di comando in ogni aspetto dell’operazione.” Un alto funzionario che è stato filmato sul luogo spiegò che egli era a riposo ed era intervenuto solo per assicurarsi che i suoi uomini non fossero stati feriti. Le testimonianze dei poliziotti furono mutevoli e contraddittorie, e sono state ampiamente contraddette dall’evidenza delle vittime e dei numerosi filmati: “Nemmeno uno dei 150 agenti presenti ha fornito informazioni precise riguardanti un singolo episodio.”
Senza Zucca, senza la forte posizione dei giudici italiani, senza il grosso lavoro di montaggio di filmati dei raid Diaz fatto da Covell, la polizia avrebbe eluso le proprie responsabilità ed ottenuto false accuse e pene detentive nei confronti di molte delle loro vittime. A parte il processo Bolzaneto che è finito il Lunedi, 28 altri ufficiali, sono sotto processo per il loro ruolo nel raid alla Diaz. E nonostante tutto, giustizia non è stata fatta.
Nessun politico italiano è stato coinvolto, nonostante la forte impressione che la polizia agì come se qualcuno avesse garantito loro l’impunità. Un ministro visitò Bolzaneto mentre i detenuti venivano maltrattati e apparentemente non vide nulla, o almeno nulla che lui pensava dovesse cessare. Un altro, Gianfranco Fini, ex segretario nazionale del partito neo-fascista MSI e successivamente Vice Primo Ministro, è stato, secondo quanto pubblicato dai media al momento, nella sede centrale di polizia. Non gli è mai stato richiesto di spiegare che ordini diede.
La maggior parte delle diverse centinaia di agenti di polizia coinvolti nella Diaz e Bolzaneto sono usciti senza alcuna condanna disciplinare o penale. Nessuno è stato sospeso; alcuni sono stati promossi. Nessuno degli agenti che erano a Bolzaneto è stato accusato di tortura: la legge italiana non riconosce questo reato. Alcuni alti ufficiali che furono inizialmente accusati per il raid alla Diaz sfuggirono al processo perché Zucca non fu semplicemente in grado di dimostrare l’esistenza di una catena di comando. Anche ora il processo ai 28 agenti accusati è in pericolo perché il primo ministro, Silvio Berlusconi tenta attraverso leggi apposite di ritardare tutti i processi che si occupano di eventi verificatisi prima del giugno 2002. Nessuno è stato accusato per le violenze inflitte a Covell. E come disse Massimo Pastore, uno degli avvocati vittima delle violenze: “Nessuno vuole ascoltare ciò che questa storia insegna.”
Questa storia ci parla di fascismo. Secondo molte voci le forze di polizia, i carabinieri e il personale carcerario appartenevano a gruppi fascisti, ma non c’è nessuna prova a sostegno. Pastore sostiene che manca il punto principale: “Non è solo una questione di pochi fascisti ubriachi. Questo è un comportamento di massa da parte della polizia. Nessuno disse ‘No’. Si tratta di cultura fascista.” In sostanza questo ha comportato ciò che Zucca descrisse nella sua relazione come “una situazione in cui ogni diritto legale sembrò essere stato sospeso.”
Cinquantadue giorni dopo l’attacco alla scuola Diaz, 19 uomini utilizzarono aerei carichi di passeggeri come bombe volanti e mutarono le ipotesi fondamentali su cui le democrazie occidentali avevano basato i propri commerci. Da allora politici che non avrebbero mai descritto se stessi come fascisti hanno consentito intercettazioni telefoniche di massa e la sorveglianza della posta elettronica, la detenzione senza processo, la tortura sistematica, la sparizione dei detenuti, un numero illimitato di arresti domiciliari e le uccisioni mirate di indagati, mentre la procedura di estradizione è stata sostituita dalla extraordinary rendition. Questo non è il fascismo di dittatori militari con la bava alla bocca. È il pragmatismo di politici esperti. Ma il risultato appare molto simile. Genova ci dice che quando lo Stato si sente minacciato, il diritto legale può essere sospeso. Ovunque."
Nick Davies
The Guardian, Giovedì 17 Luglio 2008
"IF YOU WANT AN IMAGINE OF THE FUTURE IMAGINE A BOOT STOMPING ON A HUMAN FACE FOREVER"
GEORGE ORWELL
Qualcuno si ricorda,ad esempio, del 20 e 21 luglio 2001 a Genova? E della scuola Diaz? E di Bolzaneto?
Quello che segue è l'articolo pubblicato dal Guardian in occasione della sentenza al processo sui sorprusi e le violenze a Bolzaneto e nella scuola Diaz ( ho trovato questa traduzione in rete, su "Il blog di Jimmi").
"Mancava poco a mezzanotte, quando il primo poliziotto colpì Mark Covell, abbattendo il manganello sulla sua spalla sinistra. Covell fece del suo meglio per gridare in italiano che era un giornalista ma, in pochi secondi, fu circondato da ufficiali della squadra antisommossa che lo colpirono con i loro bastoni. Per un po’ di tempo riuscì a rimanere sui suoi piedi, ma poi una bastonata al ginocchio lo spedì sul marciapiede.
A faccia in giù nel buio, ammaccato ed impaurito, sentiva le forze di polizia intorno a lui ammassarsi per attaccare la scuola Diaz Pertini dove 93 giovani manifestanti stavano dormendo sui pavimenti. Covell sperava che una volta iniziata l’irruzione dalle porte principali non avrebbero più fatto attenzione a lui. Se fosse accaduto lui avrebbe potuto attraversare la strada zoppicando per trovare rifugio nel centro di Indymedia, dove aveva trascorso gli ultimi tre giorni scrivendo articoli sul G8 e sulle violenze della polizia.
È stato in quel momento che un poliziotto gli saltò addosso e gli diede un calcio nel petto con tale forza che l’intero lato sinistra della sua gabbia toracica cedette, mezza dozzina di costole si fratturarono e le schegge penetrarono nel polmone sinistro. Covell, che è alto 1,73 mt. e piuttosto leggero, fu sollevato da terra e volò in mezzo alla strada. Sentì il poliziotto ridere. Un pensiero si formò nella mente di Covell: “Non ce la posso fare.”
La squadra antisommossa era ancora occupata con la porta, così un gruppo di agenti pensò di passare il tempo giocando a calcio con Covell. Questo incontro provocò la frattura della sua mano sinistra e danneggiò la colonna vertebrale. Da qualche parte dietro di lui, Covell sentì un poliziotto gridare che era abbastanza “Basta! Basta!” e sentì che trascinavano il suo corpo di nuovo sul marciapiede.
Un furgone blindato della polizia abbatté le porte della scuola e 150 agenti di polizia, la maggior parte dei quali indossava elmetti e portava manganelli e scudi, si riversò nell’edificio indifeso. Due agenti rimasero ad occuparsi di Covell: uno gli fratturò il cranio con il bastone, l’altro gli calciò ripetutamente in bocca rompendogli una dozzina di denti. Covell svenne.
Ci sono molte buone ragioni per cui non dobbiamo dimenticare ciò che accadde a Covell, che aveva allora 33 anni, quella notte a Genova. La prima è che questo episodio fu solo l’inizio. Entro la mezzanotte del 21 luglio 2001, gli agenti di polizia passarono attraverso tutti e quattro i piani del palazzo Diaz Pertini, dispensando la loro disciplina speciale agli occupanti, riducendo i dormitori di fortuna in ciò che un ufficiale in seguito descrisse come “una macelleria messicana”. Loro e i loro colleghi poi incarcerarono illegalmente le loro vittime in un centro di detenzione, che divenne un luogo di terrore.
La seconda è che, sette anni dopo, Covell e le altre vittime sono ancora in attesa di giustizia. Lunedi scorso 15 tra poliziotti, guardie carcerarie e sanitari sono finalmente stati condannati per aver partecipato alle violenze, anche se ieri è emerso che nessuno di loro sarà incarcerato. In Italia, gli imputati non vanno in prigione fino a quando non sia concluso il processo d’appello, e in questo caso le sentenze verranno cancellate il prossimo anno per superamento dei limiti di prescrizione. Nel frattempo, i politici che furono responsabili delle forze di polizia, delle guardie carcerarie e personale medico non hanno mai dovuto render conto di questi fatti. Domande fondamentali circa il motivo per cui questo è accaduto rimangono senza risposta, e questo ci porta al terzo e più importante motivo per ricordare Genova. Questo non è semplicemente la storia di poliziotti che reprimono una rivolta, ma c’è qualcosa di peggio e più preoccupante sotto la superficie.
Il fatto che questa storia possa essere raccontata testimonia sette anni di duro lavoro, sotto la guida coraggiosa del pubblico ministero incaricato Emilio Zucca. Aiutato da Covell e dal suo personale, Zucca ha raccolto centinaia di testimonianze e analizzato 5000 ore di filmati e migliaia di fotografie. Messi assieme essi raccontano una storia inconfutabile, che iniziò a svolgersi quando Covell restò sanguinante sul terreno.
Le forze di polizia irruppero nella scuola Diaz Pertini. Alcuni di loro gridarono “Black Bloc! Stiamo per ammazzarvi” ma se davvero essi credettero di trovarsi di fronte ai famosi Black Bloc, gli anarchici che causarono violenti tumulti in varie parti della città durante le manifestazioni della giornata, essi si sbagliarono. La scuola fu messa a disposizione dalla città di Genova come base per dimostranti che non avevano nulla a che vedere con il black bloc; furono anche messe guardie per assicurarsi che nessuno di questi entrasse.
Uno dei primi a vedere la squadra antisommossa irrompere fu Michael Gieser, un economista belga di 35 anni che, come disse successivamente, aveva appena indossato il suo pigiama ed era in coda per il bagno con il suo spazzolino in mano quando il raid ebbe inizio. Gieser crede nella forza del dialogo e in un primo momento si diresse verso di loro dicendo: “Dobbiamo parlare.” Vedendo poi le giacche imbottite, i bastoni antisommossa, i caschi e i fazzoletti che coprivano le facce dei poliziotti cambiò idea e corse su per le scale per scappare.
Altri furono più lenti. Erano ancora nei loro sacchi a pelo. Un gruppo di 10 amici spagnoli nel mezzo della sala si svegliarono e si trovarono picchiati con bastoni. Essi alzarono le mani in segno di resa. Altri agenti si affollarono per picchiarli in testa, provocando loro tagli, ematomi e rottura degli arti, incluso il braccio di una signora di 65 anni. Su un lato della camera diversi giovani erano seduti ai computer, ed inviavano email a casa. Una di loro era Melanie Jonasch, 28 anni, una studentessa di archeologia di Berlino che si era offerta volontaria per dare una mano nell’edificio e non era nemmeno andata alla manifestazione.
Lei ancora riesce a ricordare ciò che accade. Ma numerosi altri testimoni hanno descritto come gli agenti la assalirono, picchiandola in testa così duramente con i loro bastoni che perse subito conoscenza. Quando cadde a terra, gli agenti la circondarono, picchiando e prendendo a calci il suo corpo inerme, sbattendogli la testa contro un armadio nelle vicinanze, e lasciandola infine in un lago di sangue. Katherina Ottoway, che lo vide accadere, ricorda: “Tremava tutta. I suoi occhi erano aperti ma rovesciati. Pensai che stesse per morire, che non sarebbe sopravvissuta.”
Nessuno di quanti stavano al piano terra uscì indenne. Zucca scrive nella requisitoria: “Nel giro di pochi minuti, tutti gli occupanti del piano terra furono ridotti all’impotenza, i lamenti dei feriti si mescolarono con le richieste di chiamare le ambulanze.” Per la paura molte vittime persero il controllo e se la fecero addosso. Quindi i tutori della legge salirono su per le scale. Nel corridoio al primo piano trovarono un piccolo gruppo, tra cui Gieser che ancora stringeva il suo spazzolino: “Qualcuno suggerì di distendersi, per dimostrare che non avremmo opposto resistenza. Così feci. La polizia arrivò ed iniziò a picchiarci uno per uno. Mi protessi la testa con le mani. Pensai:’Devo sopravvivere.’ La gente stava gridando:’Per favore fermatevi.’ Io dissi la stessa cosa … Mi ha fatto pensare a un macelleria di maiali. Siamo stati trattati come animali, come maiali. ”
Gli agenti ruppero le porte delle stanze che davano sul corridoio. In una trovarono Dan McQuillan e Norman Blair, che arrivarono in aereo da Stansted per mostrare il loro sostegno in favore, come disse McQuillan, di “una società libera e giusta con persone che vivono in armonia gli uni con gli altri”. I due inglesi e il loro amico neozelandese, Sam Buchanan, avevano udito l’attacco della polizia al piano terra e cercarono di nascondere se stessi e i loro sacchi sotto alcuni tavoli in un angolo della stanza buia. Una decina di ufficiali irruppero e li scoprirono con le torce, e anche se McQuillan si alzò con le mani sollevate dicendo: “Calmi, calmi.” li martoriarono infliggendo loro numerosi tagli e lividi, e ruppero il polso di McQuillan. Norman Blair ricorda: “potevo sentire cattiveria e odio in loro.”
Gieser era fuori nel corridoio: “La scena intorno a me era coperta di sangue, ovunque. Un poliziotto gridò ‘Basta!’. Quella parola aprì un filo di speranza. Capii il suo significato. Ma essi non smisero. Continuarono con evidente soddisfazione. Alla fine si fermarono, ma fu come togliere un giocattolo ad un bambino contro la sua volontà.”
A questo punto ci sono agenti di polizia su tutti i quattro piani dell’edificio che aggrediscono e picchiano. Molte vittime descrivono una violenza sistematica, per cui ogni agente picchiava ogni persona che incontrava, poi passava alla vittima successiva, mentre il suo collega continuava a picchiare la prima. Sembrava importante che tutti venissero feriti. Nicola Doherty, una assistente londinese di 26 anni, ha poi descritto come il suo compagno Richard Moth le si gettò sopra per proteggerla: “Potevo ascoltare i colpi sul suo corpo. La polizia si sporgeva sopra Rich in modo da poter colpire le parti del mio corpo che restavano esposte.” Quando cercò di coprirsi la testa con il braccio gli ruppero il polso.
In un corridoio ordinarono ad un gruppo di giovani uomini e donne di inginocchiarsi, in modo che fosse più facile colpirli sulla testa e sulle spalle. Qui fu dove Daniel Albrecht, ventunenne studente di violoncello di Berlino, fu colpito in testa così brutalmente che fu necessario un intervento chirurgico per arrestare l’emorragia al cervello. Intorno all’edificio gli agenti roteavano i manganelli, impugnando la parte terminale per usare l’impugnatura ad angolo come un martello.
E in mezzo a questa inarrestabile violenza, ci furono momenti in cui le forze di polizia preferirono l’umiliazione: un poliziotto si fermò a gambe larghe di fronte ad una donna inginocchiata e ferita, le spinse l’inguine in faccia prima di fare lo stesso con Daniel Albrecht inginocchiato accanto a lei; un agente interruppe le percosse, prese un coltello e tagliò i capelli alle sue vittime, tra cui Nicola Doherty; vi erano continui insulti urlati; un poliziotto chiese ad un gruppo se stavano bene e ad uno che disse “No” reagì dandogli un’altra razione di botte.
Alcuni sfuggirono, almeno per un poco. Karl Boro si rifugiò sul tetto, ma poi commise l’errore di tornare all’interno, dove gli causarono pesanti ematomi a braccia e gambe, una frattura al cranio, ed un’emorragia al torace. Jaraslaw Engel, polacco, riuscì ad uscire dalla scuola attraverso le impalcature, ma fu catturato in strada da alcuni agenti che lo colpirono sulla testa, lo sdraiarono sul terreno e si fermarono su di lui fumando mentre il sangue colava sull’asfalto.
Due tra gli ultimi ad essere catturati furono un paio di studenti tedeschi, Lena Zuhlke, 24 anni, e il suo compagno Niels Martensen. Si erano nascosti in un’armadio per le pulizie all’ultimo piano. Sentirono la polizia avvicinarsi, battendo i manganelli contro le pareti delle scale. La porta dell’armadio si aprì, Martensen fu trascinato fuori e picchiato da una dozzina di agenti disposti a semicerchio intorno a lui. Zuhlke corse in corridoio e si nascose in gabinetto. Alcuni agenti la videro, la inseguirono e la trascinarono fuori per i capelli.
Nel corridoio la puntarono come cani con una lepre. Fu colpita alla testa e presa a calci da tutti i lati sul pavimento, dove sentì la sua gabbia toracica collassare. Fu trasportata fino al muro dove un poliziotto le puntò il ginocchio all’inguine, mentre altri continuavano ad assalirla con i manganelli. Lei scivolò lungo il muro e continuarono a colpirla a terra: “Sembrava che si stessero divertendo, quando ho gridato di dolore, la cosa sembrò dare loro ancora più piacere.”
Alcuni agenti di polizia trovarono un estintore e spruzzarono schiuma sulle ferite di Martensen. La sua compagna fu sollevata per i capelli e gettata giù per le scale a testa sotto. Infine trascinarono Zuhlke nella sala al piano terra, dove avevano radunato decine di prigionieri provenienti da tutto l’edificio in un caos di sangue e di escrementi. La gettarono sopra ad altre due persone. Non si muovevano, e Zuhlke chiese loro se fossero vivi. Essi non risposero, e lei rimase distesa sulla schiena, incapace di muovere il braccio destro e di fermare gli spasmi al braccio sinistro e alle gambe, mentre il sangue le usciva dalle ferite alla testa. Passava un gruppo di agenti, ed ognuno di loro sollevò il fazzoletto che gli nascondeva il volto, e si chinò a sputarle in faccia.
Perché i tutori dell’ordine si comportarono con tale disprezzo per la legge? La risposta più semplice può essere quella cantata al di fuori dell’edificio scolastico dai manifestanti i quali scelsero una parola che sapevano la polizia avrebbe capito: “Bastardi! Bastardi!” Ma qualcos’altro accadde qui, qualcosa che emerse più chiaramente nel corso dei giorni successivi.
Covell e decine di altre vittime dei raid furono ricoverati all’ospedale San Martino, dove agenti di polizia passeggiavano per i corridoi, battendo i manganelli sulle palme delle mani, ordinando ai feriti di non muoversi o guardare fuori dalla finestra, tenendo molti di loro ammanettati ed inviandoli, spesso con ferite ancora non curate, attraverso la città a raggiungere numerosi compagni, provenienti dalla scuola Diaz e dalle dimostrazioni, detenuti presso il centro di detenzione di Bolzaneto.
I segnali di qualcosa di brutto apparirono prima in modo superficiale. Alcuni agenti avevano canzoni fasciste come suonerie sul loro telefono cellulare e parlavano con entusiasmo di Mussolini e Pinochet. Più volte, essi ordinarono ai prigionieri di dire “Viva il duce”. A volte usarono le minacce per costringerli a cantare canzoni fasciste oppure: “Un, due, tre. Viva Pinochet!”
La 222 persone trattenute a Bolzaneto sono state trattate con metodi più tardi descritta dai pubblici ministeri come tortura. All’arrivo furono marcati con croci a pennarello su ogni guancia, e molti sono stati costretti a camminare tra due file di agenti che li colpivano con calci e bastonate. La maggior parte sono stati ammassati in grandi celle, contenenti fino a 30 persone. Qui furono costretti a stare in piedi per lunghi periodi di fronte al muro con le mani in alto e le gambe divaricate. Quelli che non riuscivano a mantenere la posizione erano sgridati, schiaffeggiato e percossi. Mohammed Tabach ha una gamba artificiale e quando, incapace di tenere la stressante posizione, crollò fu ricompensato con due spruzzate di spray al pepe nel volto e, più tardi, con un pestaggio particolarmente feroce. Norman Blair ricorda che stava in quella posizione quando una guardia gli chiese “Chi ti governa?” “La persona prima di me aveva risposto ‘la polizia’, e così dissi lo stesso. Avevo paura di essere picchiato”.
Stefan Bauer ebbe il coraggio di reagire: quando una guardia gli chiese in tedesco da dove proveniva, egli disse di appartenere all’Unione europea e che aveva il diritto di andare dove voleva. Fu portato all’esterno, picchiato, gli fu spruzzato spray al pepe in pieno volto, venne spogliato nudo e messo sotto una doccia fredda. I suoi vestiti furono portati via e fu riportato nella cella fredda indossando solo un leggero camice da ospedale.
Ai detenuti tremanti sui freddi pavimenti di marmo delle celle furono date poche coperte o nessuna, furono tenuti svegli dalle guardie, fu dato loro poco o nessun cibo e negato loro il diritto di fare telefonate e vedere un avvocato. Essi potevano sentire pianti e urla provenienti dalle altre celle.
A uomini e donne con capelli alla rasta questi vennero tagliati in modo grossolano. Marco Bistacchia fu portato in un ufficio, spogliato nudo, fatto mettere a quattro zampe e gli fu ordinato di abbaiare come un cane e gridare “Viva la polizia italiana!” Egli era troppo singhiozzante per obbedire. Un anonimo agente ha detto al quotidiano italiano La Repubblica che aveva visto altri agenti urinare su prigionieri e picchiarli perchè si rifiutavano di cantare Faccetta Nera, una canzone dell’era di Mussolini.
Ester Percivati, una giovane turca, ricorda che le guardie la chiamavano puttana mentre veniva condotta in bagno, dove un agente donna le spinse la testa in giù nella tazza e un maschio la derideva:”Bel culo! Vuoi che ti ci infili un manganello?” Diverse donne raccontarono di minacce di stupro, sia anale che vaginale.
Anche l’infermeria era pericolosa. A Richard Moth, riempito di tagli e lividi mentre proteggeva la sua compagna, furono dati punti sulla testa e sulle gambe senza anestesia “un’esperienza estremamente dolorosa e molesta. Hanno dovuto tenermi fermo.” Tra i condannati per abusi Lunedi scorso troviamo anche personale medico.
Tutti concordano che questo non non fu un tentativo di far parlare i detenuti, ma si cercò semplicemente di creare paura. E funzionò. Nelle testimonianze i detenuti descrivono il loro senso di impotenza, di essere tagliati fuori dal resto del mondo in un luogo senza leggi ne regole. Infatti la polizia obbligò i prigionieri a firmare dichiarazioni di rinuncia tutti i loro diritti legali. Un uomo, David Larroquelle, testimoniò di essersi rifiutato ed ebbe tre costole rotte. Percivati anche si rifiutò, e gli sbatterono la faccia contro il muro, rompendogli gli occhiali e facendogli sanguinare il naso.
Al mondo esterno fu data un’immagine molto distorta di tutto questo. Mentre era all’ospedale San Martino il giorno dopo i pestaggi, Covell si sentì scrollare la spalla da una donna che capì essere dell’ambasciata Britannica. Fu solo quando un uomo iniziò a prendere fotografie che egli realizzò che era una reporter del Daily Mail. In prima pagina il giorno successivo fu pubblicato un falso articolo in cui lui venne descritto come uno degli organizzatori dei disordini. (Quattro anni più tardi, Il Mail sì è poi scusato pagando a Covell un risarcimento danni per violazione della privacy.)
Mentre i suoi cittadini erano malmenati e torturati in stato di detenzione illegale, il portavoce dell’allora Primo Ministro Tony Blair dichiarava: “La polizia italiana ha avuto un difficile compito. Il primo ministro ritiene che l’abbiano portato a termine.”
La stessa polizia italiana alimentò i mezzi di informazione con una dieta ricca di menzogne. Mentre i corpi sanguinanti venivano portati fuori dall’edificio della Diaz Pertini sulla barelle, la polizia raccontava ai giornalisti che le ambulanze schierate in strada non avevano niente a che fare con il raid, e/o che le ferite, palesemente fresche erano vecchie, oppure che l’edificio fu trovato pieno di estremisti violenti che attaccarono i poliziotti.
Il giorno successivo, alcuni ufficiali tennero una conferenza stampa durante la quale annunciarono che chiunque era stato trovato nell’edificio sarebbe stato accusato di resistenza all’arresto e cospirazione per causare distruzioni. Successivamente i tribunali respinsero ogni singolo addebito nei confronti di ogni singola persona. Incluso Covell. La polizia lo accusò di una serie di gravi reati descritti dal pubblico ministero Enrico Zucca come “grotteschi”.
Nella stessa conferenza stampa la polizia mostrò alcune delle cosiddette armi ritrovate. Vi erano piedi di porco, martelli e chiodi che essi stessi avevano preso da un cantiere vicino alla scuola; strutture di zaini in alluminio, che furono presentate come armi offensive, 17 telecamere, 13 paia di occhiali da nuoto, 10 coltellini tascabili e una bottiglia di lozione Sun-Tan. Mostrarono inoltre due bottiglie molotov che, come Zucca poi concluse, furono precedentemente trovate dalla polizia in un’altra parte della città e portate nell’edificio della Diaz Pertini a raid concluso.
La disonestà pubblica fu parte di un più ampio sforzo per coprire ciò che era accaduto. Nella notte del raid, un gruppo di 59 poliziotti entrò nell’edificio di fronte alla Diaz Pertini, dove Covell e altri avevano organizzato il centro di Indymedia e dove, soprattutto, un gruppo di avvocati stava raccogliendo prove sugli attacchi delle forze di polizia durante le precedenti dimostrazioni. I poliziotti entrarono nella stanza degli avvocati, minacciarono gli occupanti, ruppero i loro computer e sequestrarono i dischi fissi. Portarono via anche qualsiasi cosa contenesse materiale fotografico o video.
Anche se i giudici si rifiutarono di condannare i detenuti, la polizia ottenne per tutti l’espulsione dal paese, e l’interdizione all’ingresso per un periodo di cinque anni. Così, i testimoni sono stati eliminati dalla scena. Come le iniziali accuse, anche tutti gli ordini di espulsione sono stati successivamente respinti dai tribunali in quanto illegali.
Zucca combattè la sua battaglia per anni, tra negazioni e offuscamenti. Nella sua relazione ufficiale, ha constatato come tutti gli alti ufficiali negarono qualsiasi coinvolgimento: “Non vi fu un singolo ufficiale che confessò di aver avuto un qualche ruolo di comando in ogni aspetto dell’operazione.” Un alto funzionario che è stato filmato sul luogo spiegò che egli era a riposo ed era intervenuto solo per assicurarsi che i suoi uomini non fossero stati feriti. Le testimonianze dei poliziotti furono mutevoli e contraddittorie, e sono state ampiamente contraddette dall’evidenza delle vittime e dei numerosi filmati: “Nemmeno uno dei 150 agenti presenti ha fornito informazioni precise riguardanti un singolo episodio.”
Senza Zucca, senza la forte posizione dei giudici italiani, senza il grosso lavoro di montaggio di filmati dei raid Diaz fatto da Covell, la polizia avrebbe eluso le proprie responsabilità ed ottenuto false accuse e pene detentive nei confronti di molte delle loro vittime. A parte il processo Bolzaneto che è finito il Lunedi, 28 altri ufficiali, sono sotto processo per il loro ruolo nel raid alla Diaz. E nonostante tutto, giustizia non è stata fatta.
Nessun politico italiano è stato coinvolto, nonostante la forte impressione che la polizia agì come se qualcuno avesse garantito loro l’impunità. Un ministro visitò Bolzaneto mentre i detenuti venivano maltrattati e apparentemente non vide nulla, o almeno nulla che lui pensava dovesse cessare. Un altro, Gianfranco Fini, ex segretario nazionale del partito neo-fascista MSI e successivamente Vice Primo Ministro, è stato, secondo quanto pubblicato dai media al momento, nella sede centrale di polizia. Non gli è mai stato richiesto di spiegare che ordini diede.
La maggior parte delle diverse centinaia di agenti di polizia coinvolti nella Diaz e Bolzaneto sono usciti senza alcuna condanna disciplinare o penale. Nessuno è stato sospeso; alcuni sono stati promossi. Nessuno degli agenti che erano a Bolzaneto è stato accusato di tortura: la legge italiana non riconosce questo reato. Alcuni alti ufficiali che furono inizialmente accusati per il raid alla Diaz sfuggirono al processo perché Zucca non fu semplicemente in grado di dimostrare l’esistenza di una catena di comando. Anche ora il processo ai 28 agenti accusati è in pericolo perché il primo ministro, Silvio Berlusconi tenta attraverso leggi apposite di ritardare tutti i processi che si occupano di eventi verificatisi prima del giugno 2002. Nessuno è stato accusato per le violenze inflitte a Covell. E come disse Massimo Pastore, uno degli avvocati vittima delle violenze: “Nessuno vuole ascoltare ciò che questa storia insegna.”
Questa storia ci parla di fascismo. Secondo molte voci le forze di polizia, i carabinieri e il personale carcerario appartenevano a gruppi fascisti, ma non c’è nessuna prova a sostegno. Pastore sostiene che manca il punto principale: “Non è solo una questione di pochi fascisti ubriachi. Questo è un comportamento di massa da parte della polizia. Nessuno disse ‘No’. Si tratta di cultura fascista.” In sostanza questo ha comportato ciò che Zucca descrisse nella sua relazione come “una situazione in cui ogni diritto legale sembrò essere stato sospeso.”
Cinquantadue giorni dopo l’attacco alla scuola Diaz, 19 uomini utilizzarono aerei carichi di passeggeri come bombe volanti e mutarono le ipotesi fondamentali su cui le democrazie occidentali avevano basato i propri commerci. Da allora politici che non avrebbero mai descritto se stessi come fascisti hanno consentito intercettazioni telefoniche di massa e la sorveglianza della posta elettronica, la detenzione senza processo, la tortura sistematica, la sparizione dei detenuti, un numero illimitato di arresti domiciliari e le uccisioni mirate di indagati, mentre la procedura di estradizione è stata sostituita dalla extraordinary rendition. Questo non è il fascismo di dittatori militari con la bava alla bocca. È il pragmatismo di politici esperti. Ma il risultato appare molto simile. Genova ci dice che quando lo Stato si sente minacciato, il diritto legale può essere sospeso. Ovunque."
Nick Davies
The Guardian, Giovedì 17 Luglio 2008
"IF YOU WANT AN IMAGINE OF THE FUTURE IMAGINE A BOOT STOMPING ON A HUMAN FACE FOREVER"
GEORGE ORWELL
martedì 5 agosto 2008
my favourite things - i sentieri del cielo
Ho incontrato questo romanzo casualmente,dopo l' ascolto distratto di un'intervista radiofonica all'autore,Luigi Guarnieri. Sempre casualmente mi sono ritrovato fra le mani il volume in questione, ed essendo consapevole che dietro a ciò che noi chiamiamo "il caso" vibrano gli inintellegibili messaggi degli dei,l'ho comprato e l'ho letto.Tutto d'un fiato.E mi sono ritrovato risucchiato in un romanzo storico che si rivela da subito profondamente cinematografico, dove la narrazione si articola attraverso sequenze ed inquadrature dense di immagini e visioni.Il brigantaggio,la questione meridionale,l'etnografia e persino la licantropia, diventano temi e suggestioni di un'opera narrativa che,se fosse un film, evocherebbe i nomi di Sergio Leone e di Sam Peckimpah.L'azione si svolge sulla Sila nel 1863, durante lo stato d'assedio dettato dalla legge Pica, che affidava le competenze per i reati di brigantaggio ai tribunali militari ed all'uso indiscriminato della legge di guerra. La prima guerra "civile" dello stato italiano viene realisticamente descritta come un conflitto etnico tra esercito e banditi, scandito da atrocità inaudite,rappresaglie e migliaia di morti tra le popolazioni civili. Dentro questa cornice si articola la vicenda dei due antagonisti,il maggiore Albertis ed il bandito Boccadoro.E' bene precisare che qui i buoni non esistono,non si produce la retorica del bene contro il male,forse perchè in fondo è il male a dominare e a permeare ogni cosa, e tutti sono spinti alla ferocia ed alla violenza da ragioni diverse ma in qualche modo complementari.Infatti la risultante finale delle motivazioni "progressiste" del maggiore Albertis,braccio armato dell'ideologia positivista del nuovo stato che s'avanza, è la medesima ed insostenibile "simmetrica violenza" del Bandito Boccadoro,che invece incarna un mondo ancestrale, magico, pre-storico. Alla fine sembra che Guarnieri raccontandoci di "uno scontro tra civiltà" di ieri abbia in realtà evocato i nostri giorni,la "war on terror" delle "grandi democrazie" occidentali,le guerre in Irak o in Afghanistan. Le analogie esistono...leggere il romanzo per credere.
Concludo riportando le parole di Carlo Levi citate da Guarnieri:
"Le sole guerre che tocchino il loro cuore sono quelle che hanno combattuto per difendersi contro la civiltà, contro la Storia, e gli Stati, e la Teocrazia e gli Eserciti. Sono le guerre combattute sotto i loro neri stendardi, senz'ordine militare,senz'arte e senza speranza:guerre infelici e destinate sempre a essere perdute; feroci e disperate, e incomprensibili agli storici."
lunedì 4 agosto 2008
my favourite things
Alcune cose che mi piacciono...
John Coltrane ed Eric Dolphy:due veri punk rockers,a modo loro...
Joe lo strimpellatore:il futuro è da scrivere...
Minutemen:secondo me i clash d'america
Franti:il cattivo del libro cuore, quello che ride ai funerali del re, mette su un gruppo, a torino. Lo sentiremo spaccare lampioni a fiondate. Sfondare vetrine.
Kina:"...se qualcuno sa dar delle risposte lo dica
quanto vale un' ora del mio sudore
quanto costa dover dire di si
quanto devo pagare la mia vita
e quanto vale la mia merdaaaaaaa
un' esplosione distruggerà tutto..."
Fugazi:"the troops are quiet tonight, but it's not alright, because we know they're planning something. Don't you know things have settled down but silence is a dangerous sound, we must, we must, we must keep our eyes open..."
Robert Wyatt:ha una gran barba. Mi rendono felice A) la sua musica B) la sua voce C)la sua faccia D) le sue parole E)la sua vicenda umana ed artistica.Un genio gentile.Un irregolare per vocazione. Poi magari ne riparliamo...
continua...
John Coltrane ed Eric Dolphy:due veri punk rockers,a modo loro...
Joe lo strimpellatore:il futuro è da scrivere...
Minutemen:secondo me i clash d'america
Franti:il cattivo del libro cuore, quello che ride ai funerali del re, mette su un gruppo, a torino. Lo sentiremo spaccare lampioni a fiondate. Sfondare vetrine.
Kina:"...se qualcuno sa dar delle risposte lo dica
quanto vale un' ora del mio sudore
quanto costa dover dire di si
quanto devo pagare la mia vita
e quanto vale la mia merdaaaaaaa
un' esplosione distruggerà tutto..."
Fugazi:"the troops are quiet tonight, but it's not alright, because we know they're planning something. Don't you know things have settled down but silence is a dangerous sound, we must, we must, we must keep our eyes open..."
Robert Wyatt:ha una gran barba. Mi rendono felice A) la sua musica B) la sua voce C)la sua faccia D) le sue parole E)la sua vicenda umana ed artistica.Un genio gentile.Un irregolare per vocazione. Poi magari ne riparliamo...
continua...
domenica 3 agosto 2008
guerra e pace
Il vento del sabato ed è subito sera e poi cosce e tacchi e culi. Un richiamo suadente. "A noi!" risponde il villaggio. Settimane docili, prodotte in serie e messe in fila. Vite che si flessibilizzano verso il vuoto pneumatico di domani. Per oggi la bassa pressione ti sbilancia verso l'asfalto. La tua è una visione ad articolazione casuale. L'inquadratura A preme involontaria contro l'inquadratura B. Tu hai partecipato al montaggio, ma quanti raccordi falsi, sbagliati. Stai pensando ad una motrice che deraglia, ed i vagoni dietro si schiacciano, uno dentro l'altro.
Sei sopravissuto al dondolio dei bar nei pomeriggi d' agosto, a cieli troppo bianchi per urlare, al fumo, alla polvere,alle pillole. Sei sopravissuto ai bicchieri che si rompono. A quello che hai cercato tra le cosce delle donne ed hai chiamato amore. A quello che ci hai trovato ed hai chiamato prima Waterloo, poi Sant'Elena.
Oggi hai trentaquattro anni e finalmente ti è cresciuta la barba.
Sei sopravissuto al dondolio dei bar nei pomeriggi d' agosto, a cieli troppo bianchi per urlare, al fumo, alla polvere,alle pillole. Sei sopravissuto ai bicchieri che si rompono. A quello che hai cercato tra le cosce delle donne ed hai chiamato amore. A quello che ci hai trovato ed hai chiamato prima Waterloo, poi Sant'Elena.
Oggi hai trentaquattro anni e finalmente ti è cresciuta la barba.
sabato 2 agosto 2008
"...tutte le casette lì attorno erano rovistate e messe sossopra dai poliziotti. Ce n'erano quattro qua, dieci là, che tanti non se n'erano mai visti in una volta, che giravano e davano ordini. Le luci della lanterna schizzavano a scatti sui muretti sfranti, sui brandelli di tela incatramata e di bandoni che pendevano dai tetti, sui calcinacci, sui sostacchini, sui pezzi miserabili di cortiletti. I cani abbaiavano come dannati, e dappertutto si sentivano gridi, bestemmie, comandi. Dopo nemmeno due minuti che lo tenevano lì, stretto per le braccia, il Zucabbo vide venir fuori, tra gli altri poliziotti, le due sorelle, mezze svestite, coi piedi infilati nelle scarpe come fossero ciabatte, le calze penzoloni, le chiome scarmigliate. Piangevano. "Ma che hanno fatto? Che hanno fatto? Ma lassatele stà!" gridava il Zucabbo. Con una strattonata lo trascinarono via senza nemmeno rispondergli. Gli altri trascinavano le due ragazze. fecero cento metri, attraverso le stradette ora di fango ora selciate con dei tufi, sotto le cordicelle delle stese, tra le parate marce. Intorno c'era tutta una buriana. Finchè imboccarono la strada principale, che dall'altezza del baretto della fermata dell'autobus arrivava fin sotto la chiesa.
C'erano, da una parte e dell'altra della strada, due file di jeep, saranno state cento per parte, allineate come a un posteggio, una dietro l'altra da un capo all'altro della strada. Pattuglie di poliziotti andavano e venivano dappertutto, chi portando qualcuno, chi andando a prelevare, coi mitra a tracolla e i cani. Il Zucabbo fu fatto salire su un camion, le due sorelle s'un altro. Un tenente gridava: "Caricate più che potete e portateli via"..."
Così Pier Paolo Pasolini raccontava l'irruzione della polizia tra le baracche di Pietralata, nel quarto capitolo di "Una vita violenta", il suo secondo romanzo borgataro. Era il 1959. Il boom deflagrava e la dolce vita scorreva lontana, lungo altre strade,assai più pulite e luminose.
Italia 2008. Le stesse cose ritornano.
C'erano, da una parte e dell'altra della strada, due file di jeep, saranno state cento per parte, allineate come a un posteggio, una dietro l'altra da un capo all'altro della strada. Pattuglie di poliziotti andavano e venivano dappertutto, chi portando qualcuno, chi andando a prelevare, coi mitra a tracolla e i cani. Il Zucabbo fu fatto salire su un camion, le due sorelle s'un altro. Un tenente gridava: "Caricate più che potete e portateli via"..."
Così Pier Paolo Pasolini raccontava l'irruzione della polizia tra le baracche di Pietralata, nel quarto capitolo di "Una vita violenta", il suo secondo romanzo borgataro. Era il 1959. Il boom deflagrava e la dolce vita scorreva lontana, lungo altre strade,assai più pulite e luminose.
Italia 2008. Le stesse cose ritornano.
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